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19 novembre – 33a Domenica del Tempo Ordinario

19 novembre – 33a Domenica del Tempo Ordinario
17/04/2023 elena

19 novembre
33a Domenica del Tempo Ordinario

Prima lettura
(Pr 31,10-13.19-20.30-31)

   Una donna forte chi potrà trovarla? Ben superiore alle perle è il suo valore. In lei confida il cuore del marito e non verrà a mancargli il profitto. Gli dà felicità e non dispiacere per tutti i giorni della sua vita. Si procura lana e lino e li lavora volentieri con le mani. Stende la sua mano alla conocchia e le sue dita tengono il fuso. Apre le sue palme al misero, stende la mano al povero. Illusorio è il fascino e fugace la bellezza, ma la donna che teme Dio è da lodare. Siatele riconoscenti per il frutto delle sue mani e le sue opere la lodino alle porte della città.

L’origine della donna dall’uomo

San Tommaso
(S. Th. I, q. 92, a. 2, in contrario e corpo)

   È detto in Sir: Creò da lui, cioè dall’uomo, un aiuto consimile, cioè la donna.
   Era giusto che nella prima costituzione delle cose la donna fosse tratta dall’uomo, a differenza di quanto fu fatto per gli altri animali. Primo, perché da ciò risultasse una particolare dignità per il primo uomo, il quale a somiglianza di Dio doveva essere il principio di tutta la sua specie, come Dio è il principio di tutto l’universo. Per cui anche in At S. Paolo afferma che Dio creò da uno solo tutto il genere degli uomini. Secondo, affinché l’uomo, sapendo che la donna è uscita da lui, la amasse di più e le fosse unito indissolubilmente. Quindi è detto in Gen: Essa è stata tratta dall’uomo; per questo l’uomo abbandonerà suo padre e sua madre, e si unirà a sua moglie. E ciò era necessario in modo specialissimo per la specie umana, in cui il maschio e la femmina devono convivere per tutta la vita, cosa che non avviene negli altri animali. Terzo, perché, stando al Filosofo, il maschio e la femmina si uniscono nella specie umana non solo per la necessità di generare, come negli altri animali, ma anche per la vita domestica, nella quale l’uomo e la donna hanno funzioni distinte, e in cui l’uomo è capo della donna. Quindi questa fu giustamente tratta dall’uomo come dal suo principio. Quarto, per una ragione mistica: cioè perché il fatto stava a rappresentare come la Chiesa trae la sua origine da Cristo. Quindi S. Paolo, in Ef, dice: Questo mistero è grande: lo dico in riferimento a Cristo e alla Chiesa.

Test latino di San Tommaso
(S. Th. I, q. 92, a. 2, sed contra e corpus)

   Sed contra est quod dicitur Eccli. 17 [5], creavit ex ipso, scilicet viro, adiutorium sibi simile, idest mulierem.
   Respondeo dicendum quod conveniens fuit mulierem, in prima rerum institutione, ex viro formari, magis quam in aliis animalibus. Primo quidem, ut in hoc quaedam dignitas primo homini servaretur, ut, secundum Dei similitudinem, esset ipse principium totius suae speciei, sicut Deus est principium totius universi. Unde et Paulus dicit, Act. 17 [26], quod Deus fecit ex uno omne genus hominum. Secundo, ut vir magis diligeret mulierem, et ei inseparabilius inhaereret, dum cognosceret eam ex se esse productam. Unde dicitur Gen. 2 [23-24], de viro sumpta est, quamobrem relinquet homo patrem et matrem, et adhaerebit uxori suae. Et hoc maxime necessarium fuit in specie humana, in qua mas et femina commanent per totam vitam, quod non contingit in aliis animalibus. Tertio quia, ut philosophus dicit in 8 Ethic., mas et femina coniunguntur in hominibus non solum propter necessitatem generationis, ut in aliis animalibus; sed etiam propter domesticam vitam, in qua sunt alia opera viri et feminae, et in qua vir est caput mulieris. Unde convenienter ex viro formata est femina, sicut ex suo principio. Quarto est ratio sacramentalis; figuratur enim per hoc quod Ecclesia a Christo sumit principium. Unde apostolus dicit, ad Eph. 5 [32], sacramentum hoc magnum est, ego autem dico in Christo et in Ecclesia.

Seconda lettura (1Ts 5,1-6)

   Riguardo ai tempi e ai momenti, fratelli, non avete bisogno che ve ne scriva; infatti sapete bene che il giorno del Signore verrà come un ladro di notte. E quando la gente dirà: «C’è pace e sicurezza!», allora d’improvviso la rovina li colpirà, come le doglie una donna incinta; e non potranno sfuggire. Ma voi, fratelli, non siete nelle tenebre, cosicché quel giorno possa sorprendervi come un ladro. Infatti siete tutti figli della luce e figli del giorno; noi non apparteniamo alla notte, né alle tenebre. Non dormiamo dunque come gli altri, ma vigiliamo e siamo sobri.

Non dormire, ma vigilare

San Tommaso
(Sulla prima lettera ai Tessalonicesi,
c. 5, lez. 1, v. 6, n. 117)

   117. Dice dunque: da ciò risulta che il giorno del Signore è come un ladro; Lc 12,39: «Se il padrone di casa sapesse a che ora viene il ladro, veglierebbe»; quindi voi, che lo sapete, vegliate. Per cui dice: «Non dormiamo dunque», del sonno del peccato. Ef 5,14: «Svégliati, tu che dormi, e risorgi dai morti». Parimenti, nemmeno del sonno della pigrizia. Pr 6,9: «Fino a quando, o pigro, te ne starai a dormire?». Così «vigiliamo», con la sollecitudine. Mt 24,42: «Vegliate dunque…».
   Per questo è necessario che «siamo sobri». Così che il corpo e la mente siano sobri, cioè non occupati dai piaceri, e dalle preoccupazioni mondane. Lc 21,34: «State bene attenti che i vostri cuori non si appesantiscano in crapule e ubriachezze». 1 Pt 5,8: «Siate sobri, vegliate».

Testo latino di San Tommaso
(Super primam epistolam ad Tessalonicenses,

c. 5, lect. 1, v. 6, n. 117)

   Dicit igitur: ex quo dies Domini est sicut fur, Lc. 12,39: si sciret paterfamilias qua hora fur veniret, vigilaret utique, ergo vos, quia scitis, vigiletis. Unde dicit igitur non dormiamus, somno peccati. Eph. 5,14: surge, qui dormis, et exurge a mortuis. Item nec pigritiae. Prov. 6,9: usquequo, piger, dormis? et cetera. Sed vigilemus, per sollicitudinem. Matth. 24,42: vigilate itaque, et cetera. Et ad hoc est necessarium, quod sobrii simus, ut et corpus et mens sint sobria, id est, non occupata voluptatibus, et curis mundi. Lc. 21,34: attendite vobis, ne forte graventur corda vestra crapula et ebrietate. 1 Petr. c. 5,8: sobrii estote, et vigilate.

Vangelo
(Mt 25,14-15.19-21 forma breve)

   In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli questa parabola: «Avverrà come a un uomo che, partendo per un viaggio, chiamò i suoi servi e consegnò loro i suoi beni. A uno diede cinque talenti, a un altro due, a un altro uno, secondo le capacità di ciascuno; poi partì.
   Dopo molto tempo il padrone di quei servi tornò e volle regolare i conti con loro. Si presentò colui che aveva ricevuto cinque talenti e ne portò altri cinque, dicendo: “Signore, mi hai consegnato cinque talenti; ecco, ne ho guadagnati altri cinque”. “Bene, servo buono e fedele – gli disse il suo padrone –, sei stato fedele nel poco, ti darò potere su molto; prendi parte alla gioia del tuo padrone”.

Il merito della vita eterna
secondo la giustizia

San Tommaso
(S. Th. I-II, q. 114, a. 3,
in contrario, corpo e soluzione 3)

   Il compenso che viene dato secondo un giusto giudizio è a rigore di giustizia. Ma la vita eterna è data da Dio secondo un giudizio di giustizia, secondo le parole di 2 Tm: Ora mi resta solo la corona di giustizia che il Signore, giusto giudice, mi consegnerà in quel giorno. Quindi l’uomo merita la vita eterna a rigore di giustizia.
   L’atto meritorio di un uomo può essere considerato da due punti di vista: primo, in quanto emana dal libero arbitrio; secondo, in quanto procede dalla grazia dello Spirito Santo. Se si considera l’opera meritoria secondo la portata dell’atto, e in quanto deriva dal libero arbitrio, allora non si può riscontrare una stretta esigenza di giustizia, data l’assoluta sproporzione, ma c’è soltanto una convenienza, per una certa uguaglianza di proporzionalità: sembra infatti conveniente che Dio ricompensi secondo l’eccellenza della sua virtù l’uomo che opera nella misura delle sue forze. – Se invece parliamo dell’opera meritoria in quanto procede dalla grazia dello Spirito Santo, allora essa merita la vita eterna a rigore di giustizia. Perché allora il valore del merito va considerato secondo la virtù dello Spirito Santo che ci conduce alla vita eterna, in base alle parole di Gv: Diventerà in lui una sorgente d’acqua che zampilla per la vita eterna. Inoltre il valore dell’atto va considerato secondo la nobiltà della grazia, dalla quale l’uomo, fatto partecipe della natura divina, è reso figlio adottivo di Dio; e a lui in forza dell’adozione è dovuta l’eredità, secondo l’espressione di Rm: Se figli, anche eredi.
   3. La grazia dello Spirito Santo che abbiamo nella vita presente, sebbene non arrivi a uguagliare di fatto la gloria eterna, tuttavia la eguaglia virtualmente: come il seme di un albero contiene virtualmente tutto l’albero. E così pure in forza della grazia prende dimora nell’uomo lo Spirito Santo, che è la causa adeguata della vita eterna, per cui è anche detto che è caparra della nostra eredità (2 Cor).

Testo latino di San Tommaso
(S. Th. I-II, q. 114, a. 3,

sed contra, corpus e ad tertium)

   Sed contra, id quod redditur secundum iustum iudicium, videtur esse merces condigna. Sed vita aeterna redditur a Deo secundum iudicium iustitiae; secundum illud 2 ad Tim. 4 [8], in reliquo reposita est mihi corona iustitiae, quam reddet mihi Dominus in illa die, iustus iudex. Ergo homo meretur vitam aeternam ex condigno.
   Respondeo dicendum quod opus meritorium hominis dupliciter considerari potest, uno modo, secundum quod procedit ex libero arbitrio; alio modo, secundum quod procedit ex gratia Spiritus Sancti. Si consideretur secundum substantiam operis, et secundum quod procedit ex libero arbitrio, sic non potest ibi esse condignitas, propter maximam inaequalitatem. Sed est ibi congruitas, propter quandam aequalitatem proportionis, videtur enim congruum ut homini operanti secundum suam virtutem, Deus recompenset secundum excellentiam suae virtutis. – Si autem loquamur de opere meritorio secundum quod procedit ex gratia Spiritus Sancti, sic est meritorium vitae aeternae ex condigno. Sic enim valor meriti attenditur secundum virtutem Spiritus Sancti moventis nos in vitam aeternam; secundum illud Ioan. 4 [14], fiet in eo fons aquae salientis in vitam aeternam. Attenditur etiam pretium operis secundum dignitatem gratiae, per quam homo, consors factus divinae naturae, adoptatur in filium Dei, cui debetur hereditas ex ipso iure adoptionis, secundum illud Rom. 8 [17], si filii, et heredes.
   Ad tertium dicendum quod gratia Spiritus Sancti quam in praesenti habemus, etsi non sit aequalis gloriae in actu, est tamen aequalis in virtute, sicut et semen arborum, in quo est virtus ad totam arborem. Et similiter per gratiam inhabitat hominem Spiritus Sanctus, qui est sufficiens causa vitae aeternae, unde et dicitur esse pignus hereditatis nostrae, 2 ad Cor. 1 [22].

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