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12 novembre – 32a Domenica del Tempo Ordinario Memoria di San Giosafat

12 novembre – 32a Domenica del Tempo Ordinario Memoria di San Giosafat
17/04/2023 elena

12 novembre
32a Domenica del Tempo Ordinario
Memoria di San Giosafat

Prima lettura (Sap 6,12-16)

   La sapienza è splendida e non sfiorisce, facilmente si lascia vedere da coloro che la amano e si lascia trovare da quelli che la cercano. Nel farsi conoscere previene coloro che la desiderano. Chi si alza di buon mattino per cercarla non si affaticherà, la troverà seduta alla sua porta. Riflettere su di lei, infatti, è intelligenza perfetta, chi veglia a causa sua sarà presto senza affanni; poiché lei stessa va in cerca di quelli che sono degni di lei, appare loro benevola per le strade e in ogni progetto va loro incontro.

La virtù della sapienza

San Tommaso
(S. Th. I-II, q. 57, a. 2, corpo)

   Come si è già detto, le virtù intellettuali speculative sono quelle disposizioni che perfezionano l’intelletto speculativo nella considerazione del vero: costituendo questo il suo ben operare. Ora, il vero da considerare è di due specie: primo, quello noto per se stesso; secondo, quello conosciuto per mezzo di altre nozioni. Ma ciò che è per sé noto ha natura di principio, e viene percepito dall’intelletto in maniera istantanea. Perciò l’abito che predispone l’intelligenza alla considerazione di queste verità è detto intelletto, ed è l’abito dei [primi] princìpi. – Invece le verità conosciute mediante altre nozioni sono percepite non all’istante dall’intelletto, ma mediante una ricerca della ragione: e hanno natura di termine ultimo. Il quale può essere di due tipi: ultimo di un dato genere e ultimo in rapporto a tutta la conoscenza umana. E poiché, come dice il Filosofo, «le cose che noi conosciamo da ultime sono le prime e le più note per natura», ciò che è ultimo rispetto a tutta la conoscenza umana è al primo posto come l’oggetto più conoscibile per natura. E di ciò si occupa precisamente la sapienza, la quale considera le cause supreme, come scrive Aristotele. Per cui giustamente essa coordina e giudica tutte le cose: poiché non si può dare un giudizio perfetto e universale se non mediante un processo risolutivo fino alle prime cause. Invece rispetto a ciò che è ultimo in questo o in quell’altro genere di conoscibili l’intelletto ottiene il suo compimento con la scienza. E così ai diversi generi di conoscibili corrispondono abiti di scienze diverse: la sapienza invece non può essere che una.

Testo latino di San Tommaso
(S. Th. I-II, q. 57, a. 2, corpus)

   Respondeo dicendum quod, sicut iam [a. 1] dictum est, virtus intellectualis speculativa est per quam intellectus speculativus perficitur ad considerandum verum, hoc enim est bonum opus eius. Verum autem est dupliciter considerabile, uno modo, sicut per se notum; alio modo, sicut per aliud notum. Quod autem est per se notum, se habet ut principium; et percipitur statim ab intellectu. Et ideo habitus perficiens intellectum ad huiusmodi veri considerationem, vocatur intellectus, qui est habitus principiorum. – Verum autem quod est per aliud notum, non statim percipitur ab intellectu, sed per inquisitionem rationis, et se habet in ratione termini. Quod quidem potest esse dupliciter, uno modo, ut sit ultimum in aliquo genere; alio modo, ut sit ultimum respectu totius cognitionis humanae. Et quia ea quae sunt posterius nota quoad nos, sunt priora et magis nota secundum naturam, ut dicitur in 1 Phys.; ideo id quod est ultimum respectu totius cognitionis humanae, est id quod est primum et maxime cognoscibile secundum naturam. Et circa huiusmodi est sapientia, quae considerat altissimas causas, ut dicitur in 1 Met. Unde convenienter iudicat et ordinat de omnibus, quia iudicium perfectum et universale haberi non potest nisi per resolutionem ad primas causas. Ad id vero quod est ultimum in hoc vel in illo genere cognoscibilium, perficit intellectum scientia. Et ideo secundum diversa genera scibilium, sunt diversi habitus scientiarum, cum tamen sapientia non sit nisi una.

Seconda lettura (1Ts 4,13-18)

   Non vogliamo, fratelli, lasciarvi nell’ignoranza a proposito di quelli che sono morti, perché non siate tristi come gli altri che non hanno speranza. Se infatti crediamo che Gesù è morto e risorto, così anche Dio, per mezzo di Gesù, radunerà con lui coloro che sono morti. Sulla parola del Signore infatti vi diciamo questo: noi, che viviamo e che saremo ancora in vita alla venuta del Signore, non avremo alcuna precedenza su quelli che sono morti. Perché il Signore stesso, a un ordine, alla voce dell’arcangelo e al suono della tromba di Dio, discenderà dal cielo. E prima risorgeranno i morti in Cristo; quindi noi, che viviamo e che saremo ancora in vita, verremo rapiti insieme con loro nelle nubi, per andare incontro al Signore in alto, e così per sempre saremo con il Signore. Confortatevi dunque a vicenda con queste parole.

La speranza della vita eterna

San Tommaso
(Sulla prima lettera ai Tessalonicesi,
c. 4, lez. 2, v. 13, n. 93)

   93. Vieta loro di rattristarsi in modo disordinato, per cui dice: «come gli altri». Ora, l’Apostolo sembra concedere di rattristarsi per i morti, ma vieta di farlo in modo disordinato; per questo dice: «come gli altri».
   Infatti uno che si rattrista per i morti mostra compassione. Primo, per la dissoluzione del corpo di chi viene meno. Poiché dobbiamo continuare ad amarlo, e il corpo per l’anima. Sir 41,1: «O morte, come è amaro il tuo pensiero per l’uomo che vive sereno…». Secondo, per il distacco e la separazione che è dolorosa per gli amici. 1 Sam 15,32: «È forse passata l’amarezza della morte?». Terzo, perché con la morte si ravviva il ricordo del peccato. Rm 6,23: «Salario del peccato è la morte». Quarto, poiché viene ricordata la nostra morte. Qo 7,3: «Quella è infatti la fine di ogni uomo, e chi vive ci rifletterà…».
   Quindi ci si deve rattristare, ma moderatamente. Sir 22,11: «Piangi poco per un morto, poiché ora riposa…». E così dice: «come gli altri che non hanno speranza», poiché costoro ritengono che queste privazioni siano eterne, mentre noi diciamo di no. Fil 3,20-21: «E di là aspettiamo come salvatore il Signore Gesù Cristo, il quale trasfigurerà il nostro misero corpo per conformarlo al suo corpo glorioso». Per questo dice espressamente: «circa coloro che si sono addormentati [lat. dormientes]». Gv 11,11: «Il nostro amico Lazzaro dorme».
   Chi dorme, infatti, fa tre cose. Riposa con la speranza di alzarsi. Sal 40,9: «Forse chi dorme non potrà rialzarsi?». Così accade a chi muore nella fede. Inoltre in coloro che dormono l’anima vigila. Ct 5,2: «Io dormo, ma il mio cuore veglia…». Inoltre, in seguito l’uomo si rialza più riposato e vigoroso. Così i santi risorgono incorruttibili. 1 Cor 15,52.

Testo latino di San Tommaso
(Super primam epistolam ad Tessalonicenses,

c. 4, lect. 2, v. 13, n. 93)

   Prohibentur ergo, ne scilicet inordinate tristentur, unde dicit sicut et caeteri. Videtur autem apostolus bene concedere tristari pro mortuis, aliquid tamen prohibere, ne scilicet inordinate tristentur, unde dicit sicut et caeteri. Quod enim aliquis tristetur, scilicet de mortuis, habet pietatem. Primo propter defectum corporis deficientis. Debemus enim eos diligere, et corpus propter animam. Eccli. 41, v. 1: o mors, quam amara est memoria tua homini pacem habenti, et cetera. Secundo propter discessum et separationem, quae dolorosa est amicis. 1 Reg. 15,32: siccine separat amara mors? Tertio quia per mortem fit commemoratio peccati. Rom. 6,23: stipendia peccati mors. Quarto quia fit commemoratio mortis nostrae. Eccle. 7,3: in illa enim finis cunctorum admonetur hominum, et vivens cogitat quid futurum sit, et cetera. Sic ergo tristandum, sed moderate. Unde Eccli. 22,11: modicum plora supra mortuum, quoniam requievit, et cetera. Et ideo dicit sicut et caeteri qui spem non habent, scilicet quia isti credunt huiusmodi defectus perpetuos, sed nos non. Phil. 3,20-21: salvatorem expectamus Dominum nostrum Iesum Christum, qui reformabit corpus humilitatis nostrae, configuratum corpori claritatis suae. Unde signanter dicit de dormientibus. Io. 11, v. 11: Lazarus amicus noster dormit. Dormiens enim tria facit. Cubat in spe surgendi. Ps. 10: numquid qui dormit non adiiciet ut resurgat? Sic et qui moritur in fide. Item in dormiente anima vigilat. Cant. c. 5,2: ego dormio, et cor meum vigilat, et cetera. Item postea homo resurget magis refectus et vegetus. Sic sancti resurgent incorruptibiles, 1 Cor. 15,52.

Vangelo (Mt 25,1-13)

   In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli questa parabola: «Il regno dei cieli sarà simile a dieci vergini che presero le loro lampade e uscirono incontro allo sposo. Cinque di esse erano stolte e cinque sagge; le stolte presero le loro lampade, ma non presero con sé l’olio; le sagge invece, insieme alle loro lampade, presero anche l’olio in piccoli vasi. Poiché lo sposo tardava, si assopirono tutte e si addormentarono. A mezzanotte si alzò un grido: “Ecco lo sposo! Andategli incontro!”. Allora tutte quelle vergini si destarono e prepararono le loro lampade. Le stolte dissero alle sagge: “Dateci un po’ del vostro olio, perché le nostre lampade si spengono”. Le sagge risposero: “No, perché non venga a mancare a noi e a voi; andate piuttosto dai venditori e compratevene”. Ora, mentre quelle andavano a comprare l’olio, arrivò lo sposo e le vergini che erano pronte entrarono con lui alle nozze, e la porta fu chiusa. Più tardi arrivarono anche le altre vergini e incominciarono a dire: “Signore, signore, aprici!”. Ma egli rispose: “In verità io vi dico: non vi conosco”. Vegliate dunque, perché non sapete né il giorno né l’ora».

La vigilanza o sollecitudine

San Tommaso
(S. Th. II-II, q. 47, a. 9, in contrario e corpo)

   In 1 Pt 4 [7] è detto: Siate prudenti e vigilate nella preghiera. Ma la vigilanza si identifica con la sollecitudine. Quindi la sollecitudine appartiene alla prudenza.
   S. Isidoro spiega che «sollecito suona solers citus [solerte veloce]», per il fatto che uno, per una certa solerzia dell’animo, è veloce nell’intraprendere le cose da farsi. E ciò è proprio della prudenza, il cui atto principale è il comandare azioni deliberate e giudicate in precedenza. Ecco perché il Filosofo dice che «bisogna eseguire prontamente quanto si è deliberato, mentre si deve deliberare con lentezza». Per questo la sollecitudine appartiene propriamente alla prudenza. E per questo S. Agostino insegna che «spetta alla prudenza fare la guardia con somma vigilanza, perché con l’insinuarsi dei cattivi consigli un po’ per volta non restiamo ingannati».

Testo latino di San Tommaso
(S. Th. II-II, q. 47, a. 9, sed contra e corpus)

   Sed contra est quod dicitur 1 Pet. 4 [7], estote prudentes, et vigilate in orationibus. Sed vigilantia est idem sollicitudini. Ergo sollicitudo pertinet ad prudentiam.
   Respondeo dicendum quod, sicut dicit Isidorus, in libro Etymol., sollicitus dicitur quasi solers citus, inquantum scilicet aliquis ex quadam solertia animi velox est ad prosequendum ea quae sunt agenda. Hoc autem pertinet ad prudentiam, cuius praecipuus actus est circa agenda praecipere de praeconsiliatis et iudicatis. Unde philosophus dicit, in 6 Ethic., quod oportet operari quidem velociter consiliata, consiliari autem tarde. Et inde est quod sollicitudo proprie ad prudentiam pertinet. Et propter hoc Augustinus dicit, in libro De mor. Ecc., quod prudentiae sunt excubiae atque diligentissima vigilantia ne, subrepente paulatim mala suasione, fallamur.

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