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5 novembre – 31a Domenica del Tempo Ordinario

5 novembre – 31a Domenica del Tempo Ordinario
11/04/2023 elena

5 novembre
31a Domenica del Tempo Ordinario

Prima lettura
(Ml 1,14-2, 2b.8-10)

   Io sono un re grande – dice il Signore degli eserciti – e il mio nome è terribile fra le nazioni. Ora a voi questo monito, o sacerdoti. Se non mi ascolterete e non vi darete premura di dare gloria al mio nome, dice il Signore degli eserciti, manderò su voi la maledizione. Voi invece avete deviato dalla retta via e siete stati d’inciampo a molti con il vostro insegnamento; avete distrutto l’alleanza di Levi, dice il Signore degli eserciti. Perciò anche io vi ho reso spregevoli e abietti davanti a tutto il popolo, perché non avete seguito le mie vie e avete usato parzialità nel vostro insegnamento. Non abbiamo forse tutti noi un solo padre? Forse non ci ha creati un unico Dio? Perché dunque agire con perfidia l’uno contro l’altro, profanando l’alleanza dei nostri padri?

La diversità
dei compiti nella Chiesa

San Tommaso
(S. Th. II-II, q. 183, a. 2, corpo)

   La diversità degli uffici e degli stati è ordinata a tre fini nella Chiesa. Primo, alla sua perfezione. Come infatti nell’ordine delle realtà naturali la perfezione, che in Dio è semplice e uniforme, non poté trovarsi nelle creature se non in modo difforme e molteplice, così anche la pienezza della grazia, che in Cristo è concentrata come nel capo, ridonda nelle sue membra in modi diversi, affinché il corpo della Chiesa risulti perfetto. Da cui le parole di S. Paolo: è lui che ha stabilito alcuni come apostoli, altri come profeti, altri come evangelisti, altri come pastori e maestri, per il perfezionamento dei santi (Ef 4,11). – Secondo, questa diversità giova al compimento delle azioni necessarie alla Chiesa. Per azioni diverse bisogna infatti incaricare persone diverse, perché tutto sia compiuto più speditamente e senza confusione. Ed è questo appunto quanto S. Paolo dice: Come in un solo corpo abbiamo molte membra, e queste membra non hanno tutte la medesima funzione, così anche noi, pur essendo molti, siamo un solo corpo in Cristo (Rm 12, 4). – Terzo, ciò è richiesto per il decoro e la bellezza della Chiesa, che risulta da un certo ordine. Per cui è detto in 1 Re 10 [4], che la regina di Saba, quando vide tutta la saggezza di Salomone, gli alloggi dei suoi dignitari, l’attività dei suoi ministri, rimase senza fiato. Per cui anche S. Paolo scrive che in una grande casa non vi sono soltanto vasi d’oro e d’argento, ma anche di legno e d’argilla (2 Tm 2,20).

Testo latino di San Tommaso
(S. Th. II-II, q. 183, a. 2, corpus)

   Respondeo dicendum quod diversitas statuum et officiorum in Ecclesia ad tria pertinet. Primo quidem, ad perfectionem ipsius Ecclesiae. Sicut enim in rerum naturalium ordine perfectio, quae in Deo simpliciter et uniformiter invenitur, in universitate creaturarum inveniri non potuit nisi difformiter et multipliciter, ita etiam plenitudo gratiae, quae in Christo sicut in capite adunatur, ad membra eius diversimode redundat, ad hoc quod corpus Ecclesiae sit perfectum. Et hoc est quod apostolus dicit, ad Ephes. 4 [11-12], ipse dedit quosdam quidem apostolos, quosdam autem prophetas, alios vero evangelistas, alios autem pastores et doctores, ad consummationem sanctorum. – Secundo autem pertinet ad necessitatem actionum quae sunt in Ecclesia necessariae. Oportet autem ad diversas actiones diversos homines deputari, ad hoc quod expeditius et sine confusione omnia peragantur. Et hoc est quod apostolus dicit, Rom. 12 [4-5], sicut in uno corpore multa membra habemus, omnia autem membra non eundem actum habent, ita multi unum corpus sumus in Christo. – Tertio hoc pertinet ad dignitatem et pulchritudinem Ecclesiae, quae in quodam ordine consistit. Unde dicitur 3 Reg. 10 [4-5], quod videns regina Saba omnem sapientiam Salomonis, et habitacula servorum et ordines ministrantium, non habebat ultra spiritum. Unde et apostolus dicit, 2 ad Tim. 2 [20], quod in magna domo non solum sunt vasa aurea et argentea, sed et lignea et fictilia.

Seconda lettura (1Ts 2,7b-9.13)

   Fratelli, siamo stati amorevoli in mezzo a voi, come una madre che ha cura dei propri figli. Così, affezionati a voi, avremmo desiderato trasmettervi non solo il vangelo di Dio, ma la nostra stessa vita, perché ci siete diventati cari. Voi ricordate infatti, fratelli, il nostro duro lavoro e la nostra fatica: lavorando notte e giorno per non essere di peso ad alcuno di voi, vi abbiamo annunciato il vangelo di Dio. Proprio per questo anche noi rendiamo continuamente grazie a Dio perché, ricevendo la parola di Dio che noi vi abbiamo fatto udire, l’avete accolta non come parola di uomini ma, qual è veramente, come parola di Dio, che opera in voi credenti.

Accogliere la parola di Dio

San Tommaso
(Sulla prima lettera ai Tessalonicesi,
c. 2, lez. 2, v. 3, n. 40)

   40. Pone dunque in primo luogo i beni per cui rende grazie e ne fornisce la ragione. Pertanto dice: «Proprio per questo», perché ho predicato a voi con sollecitudine, come fa un padre con i propri figli, per questi beni «rendiamo continuamente grazie», come il padre per il bene dei figli. 3 Gv 4: «Non ho gioia più grande di questa, sapere che i miei figli camminano nella verità». Fil 4,6: «Con rendimento di grazie».
   Ma per che cosa? «perché, ricevendo la parola…». Il predicatore deve rendere grazie quando la sua parola è efficace negli ascoltatori. E dice: la parola «di Dio che noi vi abbiamo fatto udire», ossia Dio per mezzo nostro. Sal 84,9: «Ascolterò che cosa dice Dio, il Signore». Rm 10,17: «La fede infatti viene dall’ascolto, e l’ascolto per mezzo della parola di Cristo». «L’avete accolta», cioè saldamente la tenete nel vostro cuore, «non come parola di uomini», perché le parole degli uomini sono vane, «ma, qual è veramente, come parola di Dio». 2 Cor 13,3: «Dal momento che cercate una prova che Cristo parla in me». 2 Pt 1,21: «Poiché non da volontà umana fu recata mai una profezia, ma mossi da Spirito Santo parlarono quegli uomini da parte di Dio».
   E perché rendete grazie? Perché il fatto stesso che avete creduto l’ha operato Dio in voi. Fil 2,13: «È Dio infatti che suscita in voi il volere e l’operare secondo i suoi benevoli disegni». Is 26,13: «Tu, o Signore, hai compiuto in noi tutte le nostre opere».

Testo latino di San Tommaso
(Super primam epistolam ad Tessalonicenses,

c. 2, lect. 2, v. 3, n. 40)

   Ponit ergo primo bona eorum pro quibus gratias agit, et reddit rationem. Dicit ergo ideo, quia sollicite vobis praedicavi, sicut pater filiis, ideo de bonis vestris gratias ago, sicut pater de bonis filiorum. 3 Io. 2, v. 4: maiorem horum non habeo gratiam, quam ut audiam filios meos in veritate ambulare. Phil. 4,6: cum gratiarum actione. Sed de quo? Quoniam cum accepissetis a nobis, et cetera. Gratias debet agere praedicator quando verbum eius in auditoribus proficit. Et dicit verba auditus Dei a nobis, id est, per nos. Ps. 84,9: audiam quid loquatur in me Dominus Deus. Rom. 10,17: fides enim ex auditu, auditus autem per verbum Christi. Accepistis illud, id est, firmiter in corde tenuistis, non ut verbum hominum, quia vana verba hominis. 2 Cor. 13,3: an experimentum quaeritis eius, qui in me loquitur Christus? 2 Petr. 1,21: non enim voluntate humana allata est aliquando prophetia, sed Spiritu Sancto inspirati locuti sunt sancti Dei homines. Et quare gratias agitis? Quia hoc ipsum quod credidistis, Deus in vobis operatus est. Phil. 2,12: Deus est qui operatur in vobis velle et perficere pro bona voluntate. Is. c. 26,13: omnia opera nostra operatus es in nobis, Domine.

Vangelo (Mt 23,1-12)

   In quel tempo, Gesù si rivolse alla folla e ai suoi discepoli dicendo: «Sulla cattedra di Mosè si sono seduti gli scribi e i farisei. Praticate e osservate tutto ciò che vi dicono, ma non agite secondo le loro opere, perché essi dicono e non fanno. Legano infatti fardelli pesanti e difficili da portare e li pongono sulle spalle della gente, ma essi non vogliono muoverli neppure con un dito. Tutte le loro opere le fanno per essere ammirati dalla gente: allargano i loro filattèri e allungano le frange; si compiacciono dei posti d’onore nei banchetti, dei primi seggi nelle sinagoghe, dei saluti nelle piazze, come anche di essere chiamati “rabbì” dalla gente. Ma voi non fatevi chiamare “rabbì”, perché uno solo è il vostro Maestro e voi siete tutti fratelli. E non chiamate “padre” nessuno di voi sulla terra, perché uno solo è il Padre vostro, quello celeste. E non fatevi chiamare “guide”, perché uno solo è la vostra Guida, il Cristo. Chi tra voi è più grande, sarà vostro servo; chi invece si esalterà, sarà umiliato e chi si umilierà sarà esaltato».

I cattivi maestri

San Tommaso
(Catena aurea sul Vangelo di San Matteo,
c. 23, lez. 1, v. 3)

   CRISOSTOMO: Affinché poi uno non dica che è divenuto peggiore nell’operare poiché il maestro è cattivo, respinge questa ragione quando dice: Praticate e osservate tutto ciò che vi dicono. Infatti non dicono cose loro, ma di Dio, che pubblicò la sua legge per mezzo di Mosè. E osserva con quanto onore parla di Mosè, manifestando l’unità che c’è fra quanto egli dice e l’Antico Testamento. ORIGENE: Ma se gli Scribi e i Farisei che si siedono sulla cattedra di Mosè sono i dottori dei Giudei, insegnando i precetti della legge secondo la lettera, come mai il Signore ci comanda di fare ciò che essi ci ordinano, mentre nel libro degli Atti gli Apostoli proibiscono ai fedeli di vivere secondo la lettera della legge? Ma bisogna tenere presente che quelli insegnano la legge secondo la lettera poiché non conoscono il suo spirito. Quanto ci dicono dunque a riguardo della legge, noi lo facciamo e osserviamo conoscendo il suo senso, e non operando come essi operano. Infatti essi non operano come la legge insegna, né comprendono che c’è un velo sopra la lettera della legge. E quando senti queste cose non pensare che siano tutte precetti della legge, poiché ve ne sono alcune che trattano dei cibi, dei sacrifici e di altre cose del genere; lo sono invece unicamente quelle che correggono i costumi. Ma come mai non diede questo stesso comando riguardo alla legge della grazia, ma lo diede unicamente riguardo alla legge di Mosè? Perché non era ancora il tempo di far conoscere i precetti della nuova legge, prima della sua passione. A me sembra però che disse questo prevedendo qualcosa di più. Dato infatti che doveva vituperare gli Scribi e i Farisei nelle parole seguenti, affinché non sembrasse presso gli stolti che desiderasse il loro principato, o facesse ciò per inimicizia, innanzitutto allontana da sé questo sospetto, e solo poi comincia a riprenderli, affinché le folle non cadessero negli stessi vizi. E inoltre affinché non pensino che, dovendo udirli, debbano anche imitarli nelle loro azioni, aggiunge: ma non agite secondo le loro opere. Ora, che cosa c’è di più miserevole di un dottore i cui discepoli non seguendo il suo esempio si salvano, e seguendolo si perdono? CRISOSTOMO [Ps.]: Come poi l’oro viene tratto dalla terra lasciando questa, così anche gli uditori ricevano l’ìnsegnamento e lascino il comportamento dei predicatori; spesso infatti uomini cattivi insegnano una dottrina buona. E così come i sacerdoti giudicano preferibile insegnare ai cattivi a motivo dei buoni piuttosto che trascurare i buoni a motivo dei cattivi, così anche i sudditi onorino i cattivi sacerdoti a motivo dei buoni, affinché a motivo dei cattivi non siano disprezzati anche i buoni. Infatti è meglio favorire, benché ingiustamente, i cattivi, piuttosto che sottrarre le cose giuste ai buoni.

Testo latino di San Tommaso
(Catena Super Matthaeum,

c. 23, lect. 1, v. 3)

   Chrysostomus in Matth. Ne autem aliquis dicat quoniam propter hoc desidior factus sum ad agendum quia malus est doctor, hanc destruit occasionem, cum subdit omnia ergo quaecumque dixerint vobis, servate et facite; non enim sua dicunt, sed quae Dei sunt, quae per Moysen Deus in legem deduxit. Et intuere quanto circa Moysen utitur honore, eam iterum quae ad vetus est testamentum concordiam ostendens. Origenes. Si autem Scribae et Pharisaei sedentes super cathedram Moysi, sunt Iudaeorum doctores, secundum litteram docentes legis mandata; quomodo iubet nos Dominus secundum omnia quae dicunt illi, facere, cum apostoli in actibus vetent fideles vivere secundum litteram legis? Sed illi docent secundum litteram, legem spiritualiter non intelligentes. Quaecumque ergo dicunt nobis ex lege, intelligentes sensum legis facimus et servamus, nequaquam facientes secundum opera eorum; non enim sicut lex docet faciunt, nec intelligunt velamen esse super litteram legis. Vel cum omnia audieris, non omnia intelligas praecepta legis, puta multa quae de escis sunt et quae de hostiis et similia; sed ea quae corrigunt mores. Sed quare non de lege gratiae hoc mandavit, sed de doctrina Moysi? Quia scilicet nondum erat tempus praecepta novae legis ante tempus passionis manifestare. Mihi autem videtur quod et aliquid aliud praedispensans hoc dicit: quia enim accusaturus erat Scribas et Pharisaeos in sequentibus sermonibus, ne videretur apud stultos ex hoc eorum principatum cupere, vel propter inimicitiam hoc facere, primum a se hanc suspicionem removet, et tunc eos incipit reprehendere, ut turbae non in eadem vitia incidant; et ideo etiam ne existiment quod, quia debent eos audire, ideo eos debeant in operibus imitari: subditur enim secundum vero opera eorum nolite facere. Quid est autem doctore illo miserabilius cuius vitam discipuli cum non sequuntur salvantur, cum imitantur perduntur? Chrysostomus super Matth. Sicut autem aurum de terra eligitur, et terra relinquitur, sic et auditores doctrinam accipiant, et mores relinquant; frequenter enim de homine malo bona doctrina procedit. Sicut autem sacerdotes melius iudicant propter bonos malos docere, quam propter malos bonos negligere, sic et subditi propter bonos sacerdotes etiam malos honorent, ne propter malos boni etiam contemnantur: melius est enim malis iniusta praestare, quam bonis iusta subtrahere.

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