4 novembre – sabato
Memoria di San Carlo Borromeo
Tempo Ordinario – 30a Settimana
Prima lettura
(Rm 11,2a.11-12.25-29)
Fratelli, Dio ha forse ripudiato il suo popolo? Impossibile! Anch’io infatti sono Israelita, della discendenza di Abramo, della tribù di Beniamino. Dio non ha ripudiato il suo popolo, che egli ha scelto fin da principio. Ora io dico: forse inciamparono per cadere per sempre? Certamente no. Ma a causa della loro caduta la salvezza è giunta alle genti, per suscitare la loro gelosia. Se la loro caduta è stata ricchezza per il mondo e il loro fallimento ricchezza per le genti, quanto più la loro totalità! Non voglio infatti che ignoriate, fratelli, questo mistero, perché non siate presuntuosi: l’ostinazione di una parte d’Israele è in atto fino a quando non saranno entrate tutte quante le genti. Allora tutto Israele sarà salvato, come sta scritto: «Da Sion uscirà il liberatore, egli toglierà l’empietà da Giacobbe. Sarà questa la mia alleanza con loro quando distruggerò i loro peccati». Quanto al Vangelo, essi sono nemici, per vostro vantaggio; ma quanto alla scelta di Dio, essi sono amati, a causa dei padri, infatti i doni e la chiamata di Dio sono irrevocabili!
La salvezza derivante dalla caduta
San Tommaso
(Sulla lettera ai Romani,
c. 11, lez. 2, v. 11, n. 881)
881. Dice dunque anzitutto: «Impossibile!», cioè che siano caduti inutilmente. «Ma» piuttosto, «a causa della loro», cioè dei Giudei, «caduta, la salvezza è giunta» occasionalmente «alle genti». Perciò anche il Signore dice in Gv 4,22: «La salvezza viene dai Giudei».
E ciò può essere inteso in tre modi. In un primo modo, in quanto dal delitto che commisero uccidendo Cristo è conseguita la salvezza dei gentili mediante la redenzione del suo sangue. 1 Pt 1,18 dice: «Non a prezzo di cose corruttibili, come l’oro e l’argento, siete stati redenti dalla vostra condotta vana ereditata dai vostri padri, ma con il sangue prezioso dell’Agnello immacolato».
In un secondo modo, può essere inteso del delitto con il quale respinsero la dottrina degli Apostoli, dal quale derivò che gli Apostoli predicassero ai gentili, secondo At 13,46: «era necessario che fosse annunziata a voi per primi la parola di Dio, ma poiché l’avete respinta, ecco ci rivolgiamo ai gentili …».
In un terzo modo, può essere inteso riguardo al fatto che, a causa della loro impenitenza, furono dispersi fra tutte le genti. E così Cristo e la Chiesa ebbero testimonianza della fede cristiana in ogni passo dei libri dei Giudei, per convertire i gentili che avrebbero potuto sospettare che le profezie su Cristo, che i predicatori della fede adducevano, fossero inventate, se non fossero state provate dalla testimonianza dei Giudei; perciò nel Sal 58,12: viene detto: «I miei nemici», cioè i Giudei, «non ucciderli, perché il mio popolo non dimentichi: disperdili con la tua potenza».
Testo latino di San Tommaso
(Super epistolam ad Romanos,
c. 11, lect. 2, v. 11, n. 881)
Dicit ergo primo absit, ut scilicet inutiliter caderent. Sed, magis, illorum, scilicet Iudaeorum, delicto, salus gentibus facta est occasionaliter. Unde et Dominus dicit Io. 4,22: Salus ex Iudaeis est. Quod quidem potest intelligi tripliciter. Primo modo, quia per delictum quod in occisione Christi commiserunt, est subsecuta salus gentium per redemptionem sanguinis Christi. 1 Petr. 1,18: Non enim corruptibilibus auro vel argento redempti estis de vana vestra conversatione paternae traditionis, sed pretioso sanguine Agni immaculati. Secundo modo potest intelligi de delicto quo doctrinam apostolorum repulerunt, ex quo confectum est ut apostoli gentibus praedicarent, secundum illud Act. 13,46: Vobis oportebat primum loqui verbum Dei, sed quoniam repulistis illud, ecce convertimur ad gentes, et cetera. Tertio modo potest intelligi de hoc quod propter suam impoenitentiam sunt in omnes gentes dispersi. Et sic Christus et Ecclesia ubique a libris Iudaeorum testimonium habuit fidei christianae, ad convertendos gentiles qui suspicari potuissent prophetias de Christo, quas praedicatores fidei inducebant, esse confictas, nisi probarentur testimonio Iudaeorum; unde in Ps. 58,12 dicitur: Ostendit mihi super inimicos meos, scilicet Iudaeos, ne occidas eos, ne quando obliviscantur populi mei: disperge illos in virtute tua.
Vangelo (Lc 14,1.7-11)
Un sabato Gesù si recò a casa di uno dei capi dei farisei per pranzare ed essi stavano a osservarlo. Diceva agli invitati una parabola, notando come sceglievano i primi posti: «Quando sei invitato a nozze da qualcuno, non metterti al primo posto, perché non ci sia un altro invitato più degno di te, e colui che ha invitato te e lui venga a dirti: “Cédigli il posto!”. Allora dovrai con vergogna occupare l’ultimo posto. Invece, quando sei invitato, va’ a metterti all’ultimo posto, perché quando viene colui che ti ha invitato ti dica: “Amico, vieni più avanti!”. Allora ne avrai onore davanti a tutti i commensali. Perché chiunque si esalta sarà umiliato, e chi si umilia sarà esaltato».
L’umiliazione e l’esaltazione
San Tommaso
(Catena aurea sul Vangelo di San Luca,
c. 14, lez. 2, v. 11)
CIRILLO: Dopo aver mostrato con un esempio così piccolo la degradazione degli ambiziosi e l’esaltazione degli umili, egli aggiunge una gran cosa a una piccola, pronunciando una sentenza generale, quando continua: Perché chiunque si esalta sarà umiliato, e chi si umilia sarà esaltato; il che viene detto secondo il giudizio divino e non secondo la consuetudine umana, per la quale molti ottengono l’onore che bramano, mentre molti altri che si umiliano restano senza onore. TEOFILATTO: Inoltre non dev’essere rispettato alla fine, né da tutti, chi si immischia negli onori; perché, mentre da alcuni viene onorato, da altri viene disprezzato, e talvolta da quegli stessi uomini che esteriormente lo onorano. BEDA: E poiché l’Evangelista chiama questo ammonimento una parabola, si deve vedere che cosa essa significhi dal punto di vista mistico. Chiunque, essendo invitato, si presenta alle nozze tra Cristo e la Chiesa, essendo unito agli altri membri della Chiesa per mezzo della fede, non si esalti come se fosse superiore agli altri, vantandosi dei propri meriti. Infatti dovrà cedere il posto a un altro più degno che viene invitato dopo di lui, poiché è andato avanti a coloro che lo hanno preceduto nella sequela di Cristo; e così va a occupare con vergogna l’ultimo posto, ora che conosce le cose migliori fatte dagli altri, e abbassa l’alta stima che una volta aveva delle proprie azioni. Ora, uno si siede all’ultimo posto poiché è detto in Sir 3,20: «Quanto più sei grande, tanto più umiliati in tutto». Venendo poi il Signore, beatifica col nome di amico chi trova umile, e gli comanda di passare più avanti: «Infatti chiunque si farà piccolo come questo fanciullo sarà il più grande nel regno dei cieli» (Mt 28,4). Ora, si dice in modo assai bello: Allora ne avrai onore davanti a tutti i commensali, perché tu non abbia a pensare fin d’ora che cosa ti sarà riservato alla fine. E ciò può essere inteso anche per questa vita, poiché quotidianamente Dio viene per il suo banchetto nuziale, disprezzando i superbi e concedendo agli umili doni del suo Spirito così grandi che l’assemblea dei commensali, cioè dei fedeli, dia loro gloria ammirandoli. Però, dalla conclusione generale che viene aggiunta si chiarisce in modo evidente che il precedente discorso del Signore va inteso in modo figurato (typice). Infatti non tutti quelli che si esaltano dinanzi agli uomini sono umiliati, né coloro che si umiliano dinanzi agli uomini sono da loro esaltati; ma chi si vanta dei propri meriti sarà umiliato da Dio, mentre chi si umilia per le proprie opere buone, verrà da lui esaltato.
Testo latino di San Tommaso
(Catena aurea Super Lucam,
c. 14, lect. 2, v. 11)
Cyrillus. Ostenso igitur tam modico exemplo ambitiosorum contemptu, et non ambitiosorum exaltatione adicit magnum parvo, generalem sententiam proferens, cum subditur quia omnis qui se exaltat, humiliabitur; et qui se humiliat, exaltabitur: quod dicitur secundum divinum iudicium, non secundum humanam consuetudinem, secundum quam plures concupiscentes honorem consequuntur, alii vero se humiliantes inglorii remanent. Theophylactus. Porro non finaliter nec omnibus hominibus est reverendus qui se honoribus ingerit; sed dum a quibusdam honoratur, alii detrahunt ei, et quandoque etiam ipsi honorantes. Beda. Sed quoniam hanc admonitionem Evangelista parabolam vocat, breviter intuendum quid mystice significet. Quisquis nuptias Christi et Ecclesiae invitatus adierit, membris Ecclesiae per fidem coniunctus, non se extollat, quasi sublimior ceteris, de meritis gloriando: dabit enim locum honoratiori post invitato, cum illorum qui se in Christo secuti sunt agilitate praeitur, et cum rubore novissimum locum tenet, quando de aliis meliora cognoscens, quicquid de sua operatione celsum sentiebat humiliat. Sed recumbit aliquis in novissimo loco, secundum illud: quanto magnus es, humilia te in omnibus. Veniens autem Dominus, quem humilem invenerit, amici nomine beatificans, ascendere superius praecipiet: quicumque enim humiliaverit se sicut parvulus, hic est maior in regno caelorum. Pulchre autem dicitur tunc erit tibi gloria, ne nunc quaerere incipias quod tibi servatur in fine. Potest etiam et hoc in hac vita intelligi; quia quotidie Dominus suas nuptias intrat, superbos despiciens, et humilibus saepe tanta sui Spiritus dona praestans, ut discumbentium, idest fidelium, coetus, eos admirando glorificet. Ex conclusione vero generali, quae subditur, manifeste claret praecedentem Domini sermonem typice intelligendum. Neque enim omnis qui se coram hominibus exaltat, humiliatur; aut qui se in conspectu hominum humiliat, exaltatur ab eis: sed qui se de meritis elevat, humiliabitur a Domino; et qui se de beneficiis humiliat, exaltabitur ab eo.