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24 settembre – 25a Domenica del Tempo Ordinario

24 settembre – 25a Domenica del Tempo Ordinario
05/04/2023 elena

24 settembre
25a Domenica del Tempo Ordinario

Prima lettura (Is 55,6-9)

   Cercate il Signore, mentre si fa trovare, invocatelo, mentre è vicino. L’empio abbandoni la sua via e l’uomo iniquo i suoi pensieri; ritorni al Signore che avrà misericordia di lui e al nostro Dio che largamente perdona. Perché i miei pensieri non sono i vostri pensieri, le vostre vie non sono le mie vie. Oracolo del Signore. Quanto il cielo sovrasta la terra, tanto le mie vie sovrastano le vostre vie, i miei pensieri sovrastano i vostri pensieri.

Cercare il Signore

San Tommaso (Su Isaia, c. 55)

   Cercate il Signore, mentre si fa trovare. Qui indica la preparazione per conseguire la suddetta promessa, e innanzitutto indica il tempo adatto per cercare il consiglio divino: Cercate il Signore, mentre si fa trovare, prima che sopravvenga l’avversità o la morte. Secondo, insegna il modo di chiedere: L’empio abbandoni la sua via, di peccato contro il Signore, e l’uomo iniquo i suoi pensieri, di offesa al prossimo. Sopra 1: «Allontanate dai miei occhi il male dei vostri pensieri». Terzo, pone il frutto della conversione, cioè la misericordia: ritorni al Signore … che largamente perdona. Gl 2: «Ritornate al Signore vostro Dio, poiché egli è misericordioso e benigno, tardo all’ira e ricco di benevolenza, e si impietosisce riguardo alla sventura. Chi sa che non cambi e si plachi e lasci dietro a sé una benedizione?». Quarto, esclude l’impedimento alla misericordia: Perché i miei pensieri non sono i vostri pensieri, come a dire: Voi empi, io pio; voi pensate alla vendetta, io alla misericordia. Ez 18: «Forse che le mie vie non sono rette, o casa di Israele, o non piuttosto non sono rette le vostre?».

Testo latino di San Tommaso
(In Isaiam, c. 55)

   Quaerite Dominum. Hic indicit eis praeparationem ad consequendam dictam promissionem: et primo dat quaerendi divinum consilium: quaerite Dominum dum inveniri potest, antequam adversitas vel mors veniat. Ps. 104: quaerite Dominum, etc., Prov. 1: mane consurgent, et cetera. Secundo docet quaerendi modum: derelinquat impius, peccans in Deum, iniquus, peccans in proximum. Supra 1: auferte malum cogitationum vestrarum ab oculis meis. Tertio ponit reversionis fructum, scilicet misericordiam: et revertatur, quoniam multus, idest multiplicis misericordiae, ad ignoscendum. Joel. 2: convertimini ad Dominum Deum vestrum. Quarto excludit misericordiae impedimentum: non enim cogitationes, quasi: vos impii, ego pius; vos ultionem cogitatis, ego misericordiam. Ezech. 18: numquid viae meae non sunt aequae, domus Israel, et non magis viae vestrae pravae sunt?

Seconda lettura (Fil 1,20c-24.27a)

   Fratelli, Cristo sarà glorificato nel mio corpo, sia che io viva sia che io muoia. Per me infatti il vivere è Cristo e il morire un guadagno. Ma se il vivere nel corpo significa lavorare con frutto, non so davvero che cosa scegliere. Sono stretto infatti fra queste due cose: ho il desiderio di lasciare questa vita per essere con Cristo, il che sarebbe assai meglio; ma per voi è più necessario che io rimanga nel corpo. Comportatevi dunque in modo degno del vangelo di Cristo.

Per me vivere è Cristo

San Tommaso
(Sulla lettera ai Filippesi,
c. 1, lez. 3, v. 21, n. 32)

   32. Poi spiega in che modo ci mortifichiamo con la vita e con la morte dicendo: «Per me infatti il vivere è Cristo…».
   La vita infatti comporta un certo movimento. Infatti si dicono vivere le cose che si muovono da se stesse. Perciò sembra che sia radicalmente vita dell’uomo ciò che è in lui il primo principio del movimento. Ora, è tale ciò a cui l’affetto è unito come al proprio fine, poiché da esso l’uomo è mosso a ogni cosa. Perciò alcuni chiamano vita ciò da cui sono mossi ad agire, come i cacciatori la caccia, e gli amici l’amico. Così dunque Cristo è la nostra vita poiché il principio completo della nostra vita e della nostra operazione è Cristo. Per questo l’Apostolo dice: «Per me il vivere è Cristo», poiché solamente Cristo lo muoveva ad agire.
   «E il morire un guadagno»: qui l’Apostolo parla in senso proprio. Infatti ciascuno pensa che sia per sé un vantaggio il poter migliorare la propria vita imperfetta. Così l’ammalato ritiene un vantaggio la vita sana. Ora, la nostra vita è Cristo. Col 3,3: «La vostra vita è nascosta con Cristo in Dio». Ma qui (in questo mondo) è imperfetta. 2 Cor 5,6: «Finché abitiamo nel corpo siamo in esilio, lontano dal Signore». Perciò, quando moriamo nel corpo, si perfeziona in noi la nostra vita, cioè Cristo, al quale allora siamo resi presenti. Sal 126,2: «Il Signore ne darà ai suoi amici nel sonno…». 2 Tm 4,6: «Quanto a me, il mio sangue sta per essere sparso in libagione, ed è giunto il momento di sciogliere le vele…».

Testo latino di San Tommaso
(Super primam epistolam ad Philippenses,

c. 1, lect. 3, v. 21, n. 32)

   Deinde exponit quomodo mortificabitur per vitam et per mortem, dicens mihi enim vivere, et cetera. Vita enim importat motionem quamdam. Illa enim vivere dicuntur, quae ex se moventur. Et inde est quod illud videtur esse radicaliter vita hominis, quod est principium motus in eo. Hoc autem est illud, cui affectus unitur sicut fini, quia ex hoc movetur homo ad omnia. Unde aliqui dicunt illud, ex quo moventur ad operandum, vitam suam, ut venatores venationem, et amici amicum. Sic ergo Christus est vita nostra, quoniam totum principium vitae nostrae et operationis est Christus. Et ideo dicit apostolus mihi enim vivere, etc., quia solus Christus movebat eum. Et mori lucrum, hic apostolus proprie loquitur. Quilibet enim sibi ad lucrum reputat, quando vitam quam habet imperfectam potest perficere. Sic infirmus ad lucrum reputat sanam vitam. Vita nostra Christus est. Col. c. 3,3: vita vestra abscondita est cum Christo in Deo. Sed hic est imperfecta. 2 Cor. c. 5,6: quamdiu sumus in corpore, peregrinamur a Domino. Et ideo quando morimur corpore, perficitur nobis vita nostra, scilicet Christus, cui tunc praesentes sumus. Ps. 126, v. 2: cum dederit dilectis suis somnum, et cetera. 2 Tim. 4,6: ego enim iam delibor, et tempus meae resolutionis instat, et cetera.

Vangelo (Mt 20,1-16a)

   In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli questa parabola: «Il regno dei cieli è simile a un padrone di casa che uscì all’alba per prendere a giornata lavoratori per la sua vigna. Si accordò con loro per un denaro al giorno e li mandò nella sua vigna. Uscito poi verso le nove del mattino, ne vide altri che stavano in piazza, disoccupati, e disse loro: “Andate anche voi nella vigna; quello che è giusto ve lo darò”. Ed essi andarono. Uscì di nuovo verso mezzogiorno e verso le tre, e fece altrettanto. Uscito ancora verso le cinque, ne vide altri che se ne stavano lì e disse loro: “Perché ve ne state qui tutto il giorno senza far niente?”. Gli risposero: “Perché nessuno ci ha presi a giornata”. Ed egli disse loro: “Andate anche voi nella vigna”. Quando fu sera, il padrone della vigna disse al suo fattore: “Chiama i lavoratori e dai loro la paga, incominciando dagli ultimi fino ai primi”. Venuti quelli delle cinque del pomeriggio, ricevettero ciascuno un denaro. Quando arrivarono i primi, pensarono che avrebbero ricevuto di più. Ma anch’essi ricevettero ciascuno un denaro. Nel ritirarlo, però, mormoravano contro il padrone dicendo: “Questi ultimi hanno lavorato un’ora soltanto e li hai trattati come noi, che abbiamo sopportato il peso della giornata e il caldo”. Ma il padrone, rispondendo a uno di loro, disse: “Amico, io non ti faccio torto. Non hai forse concordato con me per un denaro? Prendi il tuo e vattene. Ma io voglio dare anche a quest’ultimo quanto a te: non posso fare delle mie cose quello che voglio? Oppure tu sei invidioso perché io sono buono?”. Così gli ultimi saranno primi e i primi, ultimi».

La pienezza della giustizia

San Tommaso
(S. Th. I, q. 21, a. 3, soluzione 2)

   2. Quando Dio opera con misericordia, non agisce contro la sua giustizia, ma compie qualcosa oltre i limiti della giustizia: precisamente come se a un tale a cui sono dovuti cento denari uno desse del suo duecento denari: costui non agirebbe contro la giustizia, ma agirebbe con liberalità o con misericordia. E così pure se uno perdonasse un’offesa commessa contro di lui. Infatti chi perdona, in qualche maniera dà: Per cui l’Apostolo in Ef chiama il perdono una donazione: Donatevi a vicenda, come anche Cristo ha donato a voi. Da ciò appare chiaro, dunque, che la misericordia non elimina la giustizia, ma è una certa quale pienezza della giustizia. Per cui in Gc è detto: la misericordia esalta il giudizio.

Testo latino di San Tommaso
(S. Th. I, q. 21, a. 3, ad secundum)

   Ad secundum dicendum quod Deus misericorditer agit, non quidem contra iustitiam suam faciendo, sed aliquid supra iustitiam operando, sicut si alicui cui debentur centum denarii, aliquis ducentos det de suo, tamen non contra iustitiam facit, sed liberaliter vel misericorditer operatur. Et similiter si aliquis offensam in se commissam remittat. Qui enim aliquid remittit, quodammodo donat illud, unde apostolus remissionem donationem vocat, Ephes. 5 [nunc 4,32], donate invicem, sicut et Christus vobis donavit. Ex quo patet quod misericordia non tollit iustitiam, sed est quaedam iustitiae plenitudo. Unde dicitur Iac. 2 [13], quod misericordia superexaltat iudicium.

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