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23 settembre – sabato Memoria di San Pio da Pietrelcina Tempo Ordinario – 24a Settimana

23 settembre – sabato Memoria di San Pio da Pietrelcina Tempo Ordinario – 24a Settimana
05/04/2023 elena

23 settembre – sabato
Memoria di San Pio da Pietrelcina
Tempo Ordinario – 24a Settimana

Prima lettura (1 Tm 6,13-16)

   Figlio mio, davanti a Dio, che dà vita a tutte le cose, e a Gesù Cristo, che ha dato la sua bella testimonianza davanti a Ponzio Pilato, ti ordino di conservare senza macchia e in modo irreprensibile il comandamento, fino alla manifestazione del Signore nostro Gesù Cristo, che al tempo stabilito sarà a noi mostrata da Dio, il beato e unico Sovrano, il Re dei re e Signore dei signori, il solo che possiede l’immortalità e abita una luce inaccessibile: nessuno fra gli uomini lo ha mai visto né può vederlo. A lui onore e potenza per sempre. Amen.

Il beato e unico sovrano

San Tommaso
(La Somma contro i Gentili IV, c. 8, n. 2)

   2. Da ciò risulta pure evidente che la vera divinità del Figlio non è esclusa da quelle parole dell’Apostolo: «… il quale verrà mostrato a suo tempo dal beato e solo potente Re dei re e Signore dei dominanti». Poiché in questa frase non viene nominato il Padre, ma ciò che è comune al Padre e al Figlio. Che poi il Figlio sia Re dei re e Signore dei dominanti è evidente da quel passo dell’Apocalisse (19,13): «Egli era vestito di una veste tinta di sangue, ed era denominato il Verbo di Dio», con quel che segue: «Egli porta scritto sulle sue vesti e sul suo fianco: Re dei re e Signore dei dominanti» [v. 17]. – E anche l’espressione paolina successiva, «che solo possiede l’immortalità», non è tale da escludere il Figlio; poiché spetta proprio a lui dare l’immortalità ai credenti, secondo le parole evangeliche: «Chi crede in me non morirà in eterno» (Gv11,26). – Anzi, è certo che si addicono al Figlio anche le parole successive di quel testo: «Che nessun uomo ha mai veduto e neppure può vedere»; poiché il Signore afferma: «Nessuno conosce il Figlio all’infuori del Padre» (Mt11,27). Né fa difficoltà il fatto che egli è apparso visibilmente; perché ciò è vero secondo la carne; mentre secondo la divinità egli è invisibile come il Padre. Ecco perché l’Apostolo nella medesima epistola scrive: «È evidentemente grande il mistero della pietà, che è stato mostrato nella carne» (1 Tm 3,16). E non siamo costretti a dire che questa affermazione paolina si riferisce solo al Padre per il fatto che andrebbe distinto colui che mostra da colui che è mostrato; perché anche il Figlio mostra se stesso, secondo quelle sue parole: «Chi mi ama sarà amato dal Padre mio, e io l’amerò e gli manifesterò me stesso» (Gv 14,21). Cosicché anche a lui rivolgiamo la preghiera: «Mostraci il tuo volto e saremo salvi» [Sal 79,4].

Testo latino di San Tommaso
(Summa contra Gentiles IV, c. 8, n. 2)

   Ex quo etiam patet quod vera Filii divinitas non excluditur ex verbis apostoli quibus dicit, quem suis temporibus ostendet beatus et solus potens, rex regum et dominus dominantium. Non enim in his verbis Pater nominatur, sed id quod est commune Patri et Filio. Nam quod et Filius sit rex regum et dominus dominantium, manifeste ostenditur Apoc. 19-13, ubi dicitur: vestitus erat veste aspersa sanguine, et vocabatur nomen eius: Verbum Dei et postea subditur: et habet in vestimento et in femore suo scriptum: rex regum et dominus dominantium. Nec ab hoc quod subditur, qui solus habet immortalitatem, excluditur Filius: cum et sibi credentibus immortalitatem conferat; unde dicitur Ioan. 11-26: Qui credit in me, non morietur in aeternum. Sed et hoc quod subditur, quem nemo hominum vidit, sed nec videre potest, certum est Filio convenire: cum Dominus dicat, Matth. 11-27: Nemo novit Filium nisi Pater. Cui non obstat quod visibilis apparuit: hoc enim secundum carnem factum est. Est autem invisibilis secundum deitatem, sicut et Pater: unde apostolus, in eadem epistola, dicit: Manifeste magnum est pietatis sacramentum, quod manifestatum est in carne. Nec cogit quod haec de solo Patre dicta intelligamus quia dicitur quasi oporteat alium esse ostendentem et alium ostensum. Nam et Filius seipsum ostendit: dicit enim ipse, Ioan. 14-21: Qui diligit me, diligetur a Patre meo, et ego diligam eum, et manifestabo ei meipsum. Unde et ei dicimus: ostende faciem tuam, et salvi erimus.

Vangelo (Lc 8,4-15)

   In quel tempo, poiché una grande folla si radunava e accorreva a lui gente da ogni città, Gesù disse con una parabola: «Il seminatore uscì a seminare il suo seme. Mentre seminava, una parte cadde lungo la strada e fu calpestata, e gli uccelli del cielo la mangiarono. Un’altra parte cadde sulla pietra e, appena germogliata, seccò per mancanza di umidità. Un’altra parte cadde in mezzo ai rovi e i rovi, cresciuti insieme con essa, la soffocarono. Un’altra parte cadde sul terreno buono, germogliò e fruttò cento volte tanto». Detto questo, esclamò: «Chi ha orecchi per ascoltare, ascolti!». I suoi discepoli lo interrogavano sul significato della parabola. Ed egli disse: «A voi è dato conoscere i misteri del regno di Dio, ma agli altri solo con parabole, affinché vedendo non vedano e ascoltando non comprendano. Il significato della parabola è questo: il seme è la parola di Dio. I semi caduti lungo la strada sono coloro che l’hanno ascoltata, ma poi viene il diavolo e porta via la Parola dal loro cuore, perché non avvenga che, credendo, siano salvati. Quelli sulla pietra sono coloro che, quando ascoltano, ricevono la Parola con gioia, ma non hanno radici; credono per un certo tempo, ma nel tempo della prova vengono meno. Quello caduto in mezzo ai rovi sono coloro che, dopo aver ascoltato, strada facendo si lasciano soffocare da preoccupazioni, ricchezze e piaceri della vita e non giungono a maturazione. Quello sul terreno buono sono coloro che, dopo aver ascoltato la Parola con cuore integro e buono, la custodiscono e producono frutto con perseveranza.

La cattiva disposizione all’ascolto

San Tommaso
(Sul Vangelo di San Giovanni,
c. 8, lez. 7, IV, v. 47, n. 1260)

   1260. Si noti poi che, come insegna S. Gregorio, ci sono tre gradi nella cattiva disposizione della volontà. Ci sono alcuni, infatti, che non si degnano neppure di ascoltare esteriormente con le orecchie i precetti del Signore. Valgono per essi le parole del Salmista (57,5): «Come la vipera sorda, che si tura le orecchie». Ci sono altri invece che percepiscono tali cose con le orecchie del corpo, ma non le abbracciano con nessun desiderio dell’anima, non avendo la volontà di adempierle. «Ascoltano i tuoi discorsi, ma non li mettono in pratica», diceva Dio al profeta Ezechiele (33,31). Ci sono altri poi che ascoltano volentieri le parole di Dio, al punto di commuoversi fino al pianto; ma finito il tempo delle lacrime, o perché gravati dalle tribolazioni, o perché attratti dai piaceri, tornano al peccato. Se ne ha l’esempio nella parabola in cui si parla del seme della parola soffocato dalle sollecitudini (vedi Mt 13,18; Lc 8,11). In Ezechiele (3,7) si legge: «La casa d’Israele non vuole ascoltare te, perché non vogliono ascoltare me». Perciò è segno che un uomo viene da Dio, se volentieri ascolta le parole di Dio: quelli invece che ricusano di ascoltarle con l’affetto e con i fatti non sono da Dio.

Testo latino di San Tommaso
(Super Ioannem, c. 8, lect. 7, IV, v. 47, n. 1260)

   Notandum est autem, quod triplex est gradus male affectorum, ut dicit Gregorius. Nam quidam sunt qui praecepta Dei nec aure corporis, idest exteriori auditu, dignantur audire: de quibus dicitur in Ps. 57,5: Sicut aspidis surdae, obturantis aures suas. Quidam vero sunt qui haec quidem corporis aure percipiunt, sed nullo ea mentis desiderio complectuntur, non habentes voluntatem implendi: Ez. 33,31: Audiunt sermones, et non faciunt eos. Quidam autem sunt qui libenter verba Dei suscipiunt, ita ut etiam in fletibus compungantur; sed post lacrymarum tempus, vel tribulationibus oppressi, aut allecti deliciis, ad iniquitatem redeunt; cuius exemplum habetur Matth. 13,18 ss., et Lc. 8,11 ss., de verbo a sollicitudinibus suffocato. Ez. 3,7: Domus Israel nolunt audire te, quia nolunt audire me. Est ergo signum quod homo sit a Deo, si libenter audit verba Dei, sed qui recusant audire affectu vel effectu, ex Deo non sunt.

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