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16 settembre – sabato Memoria dei Santi Cornelio e Cipriano

16 settembre – sabato Memoria dei Santi Cornelio e Cipriano
05/04/2023 elena

16 settembre – sabato
Memoria dei Santi
Cornelio e Cipriano
Tempo Ordinario – 23a Settimana

Prima lettura (1 Tm 1,15-17)

   Figlio mio, questa parola è degna di fede e di essere accolta da tutti: Cristo Gesù è venuto nel mondo per salvare i peccatori, il primo dei quali sono io. Ma appunto per questo ho ottenuto misericordia, perché Cristo Gesù ha voluto in me, per primo, dimostrare tutta quanta la sua magnanimità, e io fossi di esempio a quelli che avrebbero creduto in lui per avere la vita eterna. Al Re dei secoli, incorruttibile, invisibile e unico Dio, onore e gloria nei secoli dei secoli. Amen.

Per salvare i peccatori

San Tommaso
(Sulla prima lettera a Timoteo,
c. 1, lez. 4, nn. 39-40)

   39. (…) Ma perché è venuto? «Per salvare i peccatori», ossia per la salvezza dei popoli. Gv 3,17: «Dio non ha mandato il Figlio nel mondo per giudicare il mondo, ma perché il mondo si salvi per mezzo di lui». Gv 12,47: «Io non sono venuto per condannare il mondo».
   40. Ma se non ci fosse stato nessun peccatore, forse non si sarebbe incarnato? Pare di no, poiché è venuto in questo mondo per salvare i peccatori. Perciò l’incarnazione non sarebbe stata necessaria.
   Inoltre la Glossa dice: elimina la malattia, e non c’è più bisogno della medicina.
   Rispondo. Bisogna dire che ciò risulta evidente dalle parole dei santi. Tuttavia questa non è una questione che abbia un grande peso, perché Dio ha fatto le cose secondo il modo in cui dovevano essere fatte. E non sappiamo che cosa avrebbe ordinato se non avesse previsto il peccato; tuttavia i testi sembrano dire espressamente che [il Verbo] non si sarebbe incarnato se l’uomo non avesse peccato, e personalmente io sto per questa soluzione.

Testo latino di San Tommaso
(Super primam epistolam ad Timotheum,

c. 1, lect. 4, nn. 39-40)

   Sed ad quid venit? Peccatores salvos facere, id est, propter salutem populorum. Io. c. 3,17: non enim misit Deus Filium in mundum, ut iudicet mundum, sed ut mundus salvetur per ipsum. Io. 12,47: non enim veni ut iudicem mundum. Sed si nullus fuisset peccator, numquid incarnatus non fuisset? Videtur quod non, quia venit peccatores salvos facere. Non ergo fuisset necessaria incarnatio. Item Glossa: tolle morbum, et medicinae non opus erit. Respondeo. Dicendum est quod ex verbis sanctorum satis hoc patet. Sed haec quaestio non est magnae auctoritatis, quia Deus ordinavit fienda secundum quod res fiendae erant. Et nescimus quid ordinasset, si non praescivisset peccatum; nihilominus tamen auctoritates videntur expresse sonare quod non fuisset incarnatus, si non peccasset homo, in quam partem ego magis declino.

Vangelo (Lc 6,43-49)

   In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Non vi è albero buono che produca un frutto cattivo, né vi è d’altronde albero cattivo che produca un frutto buono. Ogni albero infatti si riconosce dal suo frutto: non si raccolgono fichi dagli spini, né si vendemmia uva da un rovo. L’uomo buono dal buon tesoro del suo cuore trae fuori il bene; l’uomo cattivo dal suo cattivo tesoro trae fuori il male: la sua bocca infatti esprime ciò che dal cuore sovrabbonda. Perché mi invocate: “Signore, Signore!” e non fate quello che dico? Chiunque viene a me e ascolta le mie parole e le mette in pratica, vi mostrerò a chi è simile: è simile a un uomo che, costruendo una casa, ha scavato molto profondo e ha posto le fondamenta sulla roccia. Venuta la piena, il fiume investì quella casa, ma non riuscì a smuoverla perché era costruita bene. Chi invece ascolta e non mette in pratica, è simile a un uomo che ha costruito una casa sulla terra, senza fondamenta. Il fiume la investì e subito crollò; e la distruzione di quella casa fu grande».

Il tesoro del cuore

San Tommaso
(Catena aurea sul Vangelo di San Luca,
c. 6, lez. 11, v. 45)

   CIRILLO: Dopo aver mostrato che dalle opere si può distinguere l’uomo buono da quello cattivo, come l’albero dai suoi frutti, ora dimostra la stessa cosa attraverso un altro segno, dicendo: L’uomo buono trae fuori il bene dal buon tesoro del suo cuore; l’uomo cattivo dal suo cattivo tesoro trae fuori il male. BEDA: Il tesoro del cuore è la stessa cosa che la radice dell’albero. Perciò chi nel suo cuore possiede il tesoro della pazienza e del perfetto amore, producendo ottimi frutti, ama il nemico e fa le altre cose che [il Signore] ha insegnato in precedenza; mentre chi conserva nel cuore un tesoro perverso fa esattamente il contrario. BASILIO: Anche la qualità della parola manifesta il cuore da cui procede, mostrando chiaramente l’inclinazione dei nostri pensieri; perciò continua: infatti la bocca parla dalla pienezza del cuore. CRISOSTOMO: È una conseguenza naturale che quando dentro abbonda l’iniquità, fuoriescano parole cattive; perciò quando ascolti un uomo che proferisce parole disoneste, non credere che in lui ci sia soltanto tanta cattiveria quanta viene espressa dalle sue parole, ma ritieni che la fonte è più abbondante del fiume. BEDA: Con la locuzione della bocca il Signore allude a tutto ciò che con la parola, con i fatti e con i pensieri noi tiriamo fuori dal nostro cuore. Infatti è una consuetudine della Scrittura porre le parole per le cose.

Testo latino di San Tommaso
(Catena aurea Super Lucam,

c. 6, lect. 11, v. 45)

   Cyrillus. Postquam autem ostendit quod ex operibus potest discerni homo bonus et malus, sicut ex fructibus arbor; nunc idem ostendit per aliud signum, dicens bonus homo de bono thesauro cordis sui profert bonum; et malus homo de malo thesauro profert malum. Beda. Idem est thesaurus cordis quod radix est arboris. Qui ergo in corde thesaurum patientiae perfectique habet amoris, optimos fructus effundens diligit inimicum, et cetera facit quae supra edocuit; at qui thesaurum nequam corde servat, contraria facit. Basilius. Verbi etiam conditio cor a quo processit manifestat, evidenter ostendens dispositionem praecordiorum nostrorum; unde sequitur ex abundantia enim cordis os loquitur. Chrysostomus in Matthaeum. Naturalis enim consequentia est ut cum intus abundet nequitia, effluant oretenus verba nequam: unde cum audiveris hominem inhonesta proferentem, non tantam in eo putes latere malitiam quanta verbis exprimitur; sed coniecta fontem rivo esse uberiorem. Beda. Per oris etiam locutionem Dominus universa quae dicto, vel facto, vel cogitatu de corde proferimus, insinuat; moris enim est Scripturarum, verba pro rebus ponere.

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