10 settembre
23a Domenica del Tempo Ordinario
Prima lettura (Ez 33,1.7-9)
Mi fu rivolta questa parola del Signore: «O figlio dell’uomo, io ti ho posto come sentinella per la casa d’Israele. Quando sentirai dalla mia bocca una parola, tu dovrai avvertirli da parte mia. Se io dico al malvagio: “Malvagio, tu morirai”, e tu non parli perché il malvagio desista dalla sua condotta, egli, il malvagio, morirà per la sua iniquità, ma della sua morte io domanderò conto a te. Ma se tu avverti il malvagio della sua condotta perché si converta ed egli non si converte dalla sua condotta, egli morirà per la sua iniquità, ma tu ti sarai salvato».
La correzione fraterna e la carità
San Tommaso
(S. Th. II-II, q. 33, a. 1, corpo)
La correzione di chi sbaglia è un rimedio da usarsi contro il peccato altrui. Ora, questo peccato può essere considerato sotto due aspetti: primo, in quanto è nocivo a chi lo compie; secondo, in quanto è nocivo agli altri, che ne vengono lesi o scandalizzati; oppure in quanto compromette il bene comune, la cui giustizia viene turbata dal peccato. Perciò vi sono due modi di correggere il peccatore. Il primo, che applica un rimedio al peccato in quanto questo è un male di chi pecca: e questa è propriamente la correzione fraterna, che è ordinata all’emendamento del colpevole. Ora, togliere il male di una persona equivale a procurarle il bene, e d’altra parte procurare il bene del proprio fratello appartiene alla carità, con la quale vogliamo e facciamo del bene agli amici. Quindi la correzione fraterna è un atto di carità: poiché con essa combattiamo il male del fratello, cioè il peccato. E ciò appartiene alla carità più che l’eliminazione di qualsiasi danno esterno e di qualsiasi male corporale: nella misura cioè in cui il bene corrispettivo della virtù è più affine alla carità di quanto lo sia il bene del corpo o delle cose esterne. Per cui la correzione fraterna è un atto di carità superiore alla cura delle malattie del corpo, o alle elemosine che tolgono la miseria esteriore. – C’è invece una seconda correzione che applica un rimedio al peccato del colpevole in quanto è un male altrui, e specialmente in quanto nuoce al bene comune. E tale correzione è un atto di giustizia, la quale ha il compito di custodire la rettitudine dell’onestà nei rapporti reciproci.
Testo latino di San Tommaso
(S. Th. II-II, q. 33, a. 1, corpus)
Respondeo dicendum quod correctio delinquentis est quoddam remedium quod debet adhiberi contra peccatum alicuius. Peccatum autem alicuius dupliciter considerari potest, uno quidem modo, inquantum est nocivum ei qui peccat; alio modo, inquantum vergit in nocumentum aliorum, qui ex eius peccato laeduntur vel scandalizantur; et etiam inquantum est in nocumentum boni communis, cuius iustitia per peccatum hominis perturbatur. Duplex ergo est correctio delinquentis. Una quidem quae adhibet remedium peccato inquantum est quoddam malum ipsius peccantis, et ista est proprie fraterna correctio, quae ordinatur ad emendationem delinquentis. Removere autem malum alicuius eiusdem rationis est et bonum eius procurare. Procurare autem fratris bonum pertinet ad caritatem, per quam volumus et operamur bonum amico. Unde etiam correctio fraterna est actus caritatis, quia per eam repellimus malum fratris, scilicet peccatum. Cuius remotio magis pertinet ad caritatem quam etiam remotio exterioris damni, vel etiam corporalis nocumenti, quanto contrarium bonum virtutis magis est affine caritati quam bonum corporis vel exteriorum rerum. Unde correctio fraterna magis est actus caritatis quam curatio infirmitatis corporalis, vel subventio qua excluditur exterior egestas. – Alia vero correctio est quae adhibet remedium peccati delinquentis secundum quod est in malum aliorum, et etiam praecipue in nocumentum communis boni. Et talis correctio est actus iustitiae, cuius est conservare rectitudinem iustitiae unius ad alium.
Seconda lettura (Rm 13,8-10)
Fratelli, non siate debitori di nulla a nessuno, se non dell’amore vicendevole; perché chi ama l’altro ha adempiuto la Legge. Infatti: «Non commetterai adulterio, non ucciderai, non ruberai, non desidererai», e qualsiasi altro comandamento, si ricapitola in questa parola: «Amerai il tuo prossimo come te stesso». La carità non fa alcun male al prossimo: pienezza della Legge infatti è la carità.
Il precetto dell’amore del prossimo
San Tommaso
(S. Th. II-II, q. 44, a. 7, in contrario e corpo)
In Mt 22 [39] è detto: Il secondo comandamento è simile al primo: Amerai il prossimo tuo come te stesso.
Questo comandamento è formulato in modo perfetto: infatti in esso vengono ricordati sia il motivo che il modo dell’amare. Il motivo viene accennato col termine prossimo: dobbiamo infatti amare gli altri con la carità proprio perché ci sono prossimi per la naturale immagine di Dio e per la predisposizione alla gloria. E non importa che si parli di prossimo o di fratello, come si ha in 1 Gv 4 [20-21], o anche di amico, come in Lc 19 [18]: poiché con tutte queste voci si indica la medesima affinità. – Si accenna invece al modo di questo amore con l’espressione «come te stesso». Il che però non va inteso nel senso che uno debba amare il prossimo nella misura in cui ama se stesso, ma in modo analogo a come ama se stesso. E ciò in tre modi. Primo, per quanto riguarda il fine: uno cioè deve amare il prossimo per Dio, come per Dio deve amare se stesso, affinché l’amore del prossimo sia santo. – Secondo, per quanto riguarda la regola dell’amore: in modo cioè da non accondiscendere al prossimo nel male, ma solo nel bene, come uno deve assecondare la propria volontà solo nel bene, affinché così l’amore del prossimo sia giusto. – Terzo, per quanto riguarda il motivo dell’amore: cioè in modo che uno non ami il prossimo per il proprio vantaggio o piacere, ma volendo il bene del prossimo come il bene di se stesso, affinché in tal modo l’amore del prossimo sia vero. Infatti, quando uno ama il prossimo per il proprio vantaggio o piacere, non ama veramente il prossimo, ma se stesso.
Testo latino di San Tommaso
(S. Th. II-II, q. 44, a. 7, sed contra e corpus)
Sed contra est quod dicitur Matth. 22 [39], secundum praeceptum est simile huic, diliges proximum tuum sicut teipsum.
Respondeo dicendum quod hoc praeceptum convenienter traditur, tangitur enim in eo et diligendi ratio et dilectionis modus. Ratio quidem diligendi tangitur ex eo quod proximus nominatur, propter hoc enim ex caritate debemus alios diligere, quia sunt nobis proximi et secundum naturalem Dei imaginem et secundum capacitatem gloriae. Nec refert utrum dicatur proximus vel frater, ut habetur 1 Ioan. 4 [20-21]; vel amicus, ut habetur Lev. 19 [18], quia per omnia haec eadem affinitas designatur. – Modus autem dilectionis tangitur cum dicitur, sicut teipsum. Quod non est intelligendum quantum ad hoc quod aliquis proximum aequaliter sibi diligat; sed similiter sibi. Et hoc tripliciter. Primo quidem, ex parte finis, ut scilicet aliquis diligat proximum propter Deum, sicut et seipsum propter Deum debet diligere; ut sic sit dilectio proximi sancta. – Secundo, ex parte regulae dilectionis, ut scilicet aliquis non condescendat proximo in aliquo malo, sed solum in bonis, sicut et suae voluntati satisfacere debet homo solum in bonis; ut sic sit dilectio proximi iusta. – Tertio, ex parte rationis dilectionis, ut scilicet non diligat aliquis proximum propter propriam utilitatem vel delectationem, sed ea ratione quod velit proximo bonum, sicut vult bonum sibi ipsi; ut sic dilectio proximi sit vera. Nam cum quis diligit proximum propter suam utilitatem vel delectationem, non vere diligit proximum, sed seipsum.
Vangelo (Mt 18,15-20)
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Se il tuo fratello commetterà una colpa contro di te, va’ e ammoniscilo fra te e lui solo; se ti ascolterà, avrai guadagnato il tuo fratello; se non ascolterà, prendi ancora con te una o due persone, perché ogni cosa sia risolta sulla parola di due o tre testimoni. Se poi non ascolterà costoro, dillo alla comunità; e se non ascolterà neanche la comunità, sia per te come il pagano e il pubblicano. In verità io vi dico: tutto quello che legherete sulla terra sarà legato in cielo, e tutto quello che scioglierete sulla terra sarà sciolto in cielo. In verità io vi dico ancora: se due di voi sulla terra si metteranno d’accordo per chiedere qualunque cosa, il Padre mio che è nei cieli gliela concederà. Perché dove sono due o tre riuniti nel mio nome, lì sono io in mezzo a loro».
L’obbligo della correzione fraterna
San Tommaso
(S. Th. II-II, q. 33, a. 2, corpo)
La correzione fraterna è di precetto. Si deve però notare che, mentre i precetti negativi della legge proibiscono gli atti peccaminosi, i precetti affermativi inducono agli atti delle virtù. Ora, gli atti peccaminosi sono cattivi per se stessi, e non possono essere buoni in alcuna maniera, in nessun luogo e in nessun tempo: poiché sono legati per se stessi a un fine cattivo, come dice Aristotele. Quindi i precetti negativi obbligano sempre e in tutti i casi. Gli atti virtuosi invece non vanno compiuti in un modo qualsiasi, ma osservando le debite circostanze richieste per farne degli atti virtuosi: cioè facendoli dove si deve, quando si deve e come si deve. E poiché le disposizioni dei mezzi dipendono dal fine, tra le circostanze degli atti virtuosi va tenuto presente specialmente il fine, che è il bene della virtù. Se quindi c’è l’omissione di una circostanza relativa all’atto virtuoso tale da eliminare totalmente il bene della virtù, allora l’atto è contrario al precetto. Se invece viene a mancare una circostanza che non toglie del tutto la virtù, sebbene non raggiunga la perfezione di essa, l’atto non è contrario al precetto. Per cui anche il Filosofo afferma che se ci si allontana di poco dal giusto mezzo non si è contro la virtù; se invece ci si allontana di molto, allora la virtù viene distrutta nel proprio atto. Ora, la correzione fraterna è ordinata all’emendamento dei fratelli. Perciò essa è di precetto in quanto è necessaria a questo fine, e non nel senso che si debba correggere il fratello che sbaglia in qualsiasi luogo e in qualsiasi tempo.
Testo latino di San Tommaso
(S. Th. II-II, q. 33, a. 2, corpus)
Respondeo dicendum quod correctio fraterna cadit sub praecepto. Sed considerandum est quod sicut praecepta negativa legis prohibent actus peccatorum, ita praecepta affirmativa inducunt ad actus virtutum. Actus autem peccatorum sunt secundum se mali, et nullo modo bene fieri possunt, nec aliquo tempore aut loco, quia secundum se sunt coniuncti malo fini, ut dicitur in 2 Ethic. Et ideo praecepta negativa obligant semper et ad semper. Sed actus virtutum non quolibet modo fieri debent, sed observatis debitis circumstantiis quae requiruntur ad hoc quod sit actus virtuosus, ut scilicet fiat ubi debet, et quando debet, et secundum quod debet. Et quia dispositio eorum quae sunt ad finem attenditur secundum rationem finis, in istis circumstantiis virtuosi actus praecipue attendenda est ratio finis, qui est bonum virtutis. Si ergo sit aliqua talis omissio alicuius circumstantiae circa virtuosum actum quae totaliter tollat bonum virtutis, hoc contrariatur praecepto. Si autem sit defectus alicuius circumstantiae quae non totaliter tollat virtutem, licet non perfecte attingat ad bonum virtutis, non est contra praeceptum. Unde et philosophus dicit, in 2 Ethic., quod si parum discedatur a medio, non est contra virtutem, sed si multum discedatur, corrumpitur virtus in suo actu. Correctio autem fraterna ordinatur ad fratris emendationem. Et ideo hoc modo cadit sub praecepto, secundum quod est necessaria ad istum finem, non autem ita quod quolibet loco vel tempore frater delinquens corrigatur.