2 settembre – sabato
Tempo Ordinario – 21a Settimana
Prima lettura (1 Ts 4,9-11)
Fratelli, riguardo all’amore fraterno, non avete bisogno che ve ne scriva; voi stessi infatti avete imparato da Dio ad amarvi gli uni gli altri, e questo lo fate verso tutti i fratelli dell’intera Macedònia. Ma vi esortiamo, fratelli, a progredire ancora di più e a fare tutto il possibile per vivere in pace, occuparvi delle vostre cose e lavorare con le vostre mani, come vi abbiamo ordinato.
Avete imparato da Dio
ad amarvi gli uni gli altri
San Tommaso
(Sulla prima lettera ai Tessalonicesi,
c. 4, lez. 1, v. 9, nn. 86-87)
86. Egli dice dunque: «Riguardo all’amore fraterno», ossia che amiate i fratelli, «non avete bisogno che ve ne scriva». Rm 12,10: «Amatevi gli uni gli altri con affetto fraterno». Eb 13,1: «Perseverate nell’amore fraterno».
E la ragione di ciò è che «voi stessi avete imparato da Dio», cioè dal precetto della legge. Lv 19,18: «Ama il tuo amico come te stesso». Similmente nel vangelo: Gv 13,34: «Vi do un comandamento nuovo, che vi amiate gli uni gli altri …». Oppure «avete imparato» con la disciplina interiore. Gv 6,45: «Chiunque ha udito il Padre e ha imparato da lui, viene a me …». E impara ciò per mezzo dello Spirito Santo.
87. Poi, quando dice: «Ma vi esortiamo», li esorta a progredire nella carità, dicendo: e poiché avete amore verso tutti, vi esortiamo a progredire (in questo amore). E sebbene sapesse che alcuni ne abusavano, raccomanda loro di insistere. Pr 15,5: «In somma giustizia somma virtù».
Testo latino di San Tommaso
(Super primam epistolam ad Thessalonicenses,
c. 4, lect. 1, v. 9, nn. 86-87)
Dicit ergo de charitate autem fraternitatis, id est, quod diligatis fratres, non est necesse scribere vobis. Rom. 12,10: charitate fraternitatis invicem diligentes. Hebr. ult. (13,1): charitas fraternitatis maneat in vobis. Et ratio est quia ipsi didicistis a Deo, scilicet praeceptum in lege. Lev. 19,18: diliges amicum tuum sicut teipsum. Item in Evangelio. Io. 13,34: mandatum novum do vobis, ut diligatis invicem, et cetera. Vel didicistis interiori disciplina. Io. 6,45: omnis qui audivit a Patre et didicit, venit ad me, et cetera. Et hoc addiscit per Spiritum Sanctum. Deinde cum dicit rogamus autem, hortatur eos ad proficiendum in charitate, dicens: et quia habetis charitatem ad omnes, ideo rogamus ut proficiatis. Et licet alii abutantur, vos tamen insistatis. Prov. 15,5: in abundanti iustitia virtus maxima est.
Vangelo (Mt 25,14-30)
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli questa parabola: «Avverrà come a un uomo che, partendo per un viaggio, chiamò i suoi servi e consegnò loro i suoi beni. A uno diede cinque talenti, a un altro due, a un altro uno, secondo le capacità di ciascuno; poi partì. Subito colui che aveva ricevuto cinque talenti andò a impiegarli, e ne guadagnò altri cinque. Così anche quello che ne aveva ricevuti due, ne guadagnò altri due. Colui invece che aveva ricevuto un solo talento, andò a fare una buca nel terreno e vi nascose il denaro del suo padrone. Dopo molto tempo il padrone di quei servi tornò e volle regolare i conti con loro. Si presentò colui che aveva ricevuto cinque talenti e ne portò altri cinque, dicendo: “Signore, mi hai consegnato cinque talenti; ecco, ne ho guadagnati altri cinque”. “Bene, servo buono e fedele – gli disse il suo padrone –, sei stato fedele nel poco, ti darò potere su molto; prendi parte alla gioia del tuo padrone”. Si presentò poi colui che aveva ricevuto due talenti e disse: “Signore, mi hai consegnato due talenti; ecco, ne ho guadagnati altri due”. “Bene, servo buono e fedele – gli disse il suo padrone –, sei stato fedele nel poco, ti darò potere su molto; prendi parte alla gioia del tuo padrone”. Si presentò infine anche colui che aveva ricevuto un solo talento e disse: “Signore, so che sei un uomo duro, che mieti dove non hai seminato e raccogli dove non hai sparso. Ho avuto paura e sono andato a nascondere il tuo talento sotto terra: ecco ciò che è tuo”. Il padrone gli rispose: “Servo malvagio e pigro, tu sapevi che mieto dove non ho seminato e raccolgo dove non ho sparso; avresti dovuto affidare il mio denaro ai banchieri e così, ritornando, avrei ritirato il mio con l’interesse. Toglietegli dunque il talento, e datelo a chi ha i dieci talenti. Perché a chiunque ha, verrà dato e sarà nell’abbondanza; ma a chi non ha, verrà tolto anche quello che ha. E il servo inutile gettatelo fuori nelle tenebre; là sarà pianto e stridore di denti”».
Entra nella gioia del tuo Signore
San Tommaso
(S. Th. II-II, q. 28, a. 3, corpo)
La pienezza della gioia può essere intesa in due modi. Primo, in rapporto alla realtà di cui si gode: in modo cioè che si goda di essa nella misura in cui merita di essere goduta. E in questo senso solo Dio può avere il godimento completo di se stesso: poiché la sua gioia è infinita, e quindi è proporzionata all’infinita bontà di Dio, mentre la gioia di qualsiasi creatura è necessariamente finita. – Secondo, la pienezza della gioia può essere intesa in rapporto a colui che gode. E allora si deve ricordare, come si è detto nel trattato sulle passioni, che la gioia sta al desiderio come la quiete raggiunta sta al moto. Ora, la quiete è completa quando il moto è del tutto scomparso. Quindi la gioia è completa quando non rimane più nulla da desiderare. Ora, finché siamo in questo mondo non cessa in noi il moto del desiderio: poiché rimane la possibilità di avvicinarsi maggiormente a Dio con la grazia, come sopra si è notato. Quando invece saremo giunti alla perfetta beatitudine, allora non rimarrà più nulla da desiderare: poiché là avremo la piena fruizione di Dio, in cui l’uomo otterrà ogni cosa anche rispetto agli altri beni da lui desiderati, secondo le parole del Sal [102,5]: Egli colma di beni il tuo desiderio. Quindi non cesserà soltanto il nostro desiderio di Dio, ma si avrà anche la quiete di tutti i desideri. Per cui la gioia dei beati è perfettamente piena, anzi traboccante: poiché essi otterranno più di quanto possano desiderare; infatti, come è detto in 1 Cor 2 [9], non entrò mai in cuore di uomo ciò che Dio ha preparato per coloro che lo amano. E così si spiega il passo di Lc 6 38]: Una buona misura, pigiata, scossa e traboccante vi sarà versata nel grembo. Tuttavia, poiché nessuna creatura è grande abbastanza per accogliere una gioia di Dio che sia degna di lui, bisogna dire che questa gioia assolutamente perfetta non è contenuta nell’uomo, ma è l’uomo che entra in essa, secondo le parole di Mt 25 [21]: Entra nella gioia del tuo Signore.
Testo latino di San Tommaso
(S. Th. II-II, q. 28, a. 3, corpus)
Respondeo dicendum quod plenitudo gaudii potest intelligi dupliciter. Uno modo, ex parte rei de qua gaudetur, ut scilicet tantum gaudeatur de ea quantum est dignum de ea gauderi. Et sic solum Dei gaudium est plenum de seipso, quia gaudium eius est infinitum, et hoc est condignum infinitae bonitati Dei; cuiuslibet autem creaturae gaudium oportet esse finitum. – Alio modo potest intelligi plenitudo gaudii ex parte gaudentis. Gaudium autem comparatur ad desiderium sicut quies ad motum; ut supra [I-II q. 25 aa. 1-2] dictum est, cum de passionibus ageretur. Est autem quies plena cum nihil restat de motu. Unde tunc est gaudium plenum quando iam nihil desiderandum restat. Quandiu autem in hoc mundo sumus, non quiescit in nobis desiderii motus, quia adhuc restat quod Deo magis appropinquemus per gratiam, ut ex supradictis [q. 24 aa. 4.7] patet. Sed quando iam ad beatitudinem perfectam perventum fuerit, nihil desiderandum restabit, quia ibi erit plena Dei fruitio, in qua homo obtinebit quidquid etiam circa alia bona desideravit, secundum illud Ps. [102,5], qui replet in bonis desiderium tuum. Et ideo quiescet desiderium non solum quo desideramus Deum, sed etiam erit omnium desideriorum quies. Unde gaudium beatorum est perfecte plenum, et etiam superplenum, quia plus obtinebunt quam desiderare suffecerint; non enim in cor hominis ascendit quae praeparavit Deus diligentibus se, ut dicitur 1 ad Cor. 2 [9]. Et hinc est quod dicitur Luc. 6 [38], mensuram bonam et supereffluentem dabunt in sinus vestros. Quia tamen nulla creatura est capax gaudii de Deo ei condigni, inde est quod illud gaudium omnino plenum non capitur in homine, sed potius homo intrat in ipsum, secundum illud Matth. 25 [21.23], intra in gaudium Domini tui.